Acheronta  - Revista de Psicoanálisis y Cultura
La cura nel gruppo
Marco Longo

 

Fin dalle fasi iniziali di un gruppo terapeutico, come del resto in ogni tipo di gruppo umano che si riunisca attorno ad un obiettivo condiviso, si può ben rilevare la presenza "tra" i membri di una forte attivazione emozionale, perlopiù inconscia e qualitativamente di tipo illusionale, piuttosto che realistico (Anzieu); è un fenomeno che non riguarda solo l'<in> dei singoli membri, ma che abbraccia e coinvolge in una sorta di "emozione condivisa" l'intero campo gruppale; è un'atmosfera emozionale, alla cui attivazione sicuramente partecipano tutti i membri, ma che non dipende solo dalla somma delle "in-tensioni" individuali: è qualcosa in più dell'apporto che viene dai singoli Io; è il primo abbozzo di un Noi, di uno "spirito di corpo" (Bion).

Questa emozione condivisa è particolarmente avvertibile nei gruppi a funzione analitica, in cui i partecipanti si trovano riuniti in un setting dedicato a lavorare su loro stessi come pazienti, consapevoli di trovarsi in una situazione da loro stessi scelta, sulla base di un comune bisogno di prendersi cura di certe parti di Sé. Un setting in cui verosimilmente si continuerà a riunirsi insieme, periodicamente, nella stessa dimensione spaziotemporale e per lungo tempo, cercando di dare "corpo" alla possibilità di incontrarsi e conoscersi, di condividere oltre allo spazio ed al tempo anche il pensiero (sentimenti, ricordi, fantasie, ecc.).

È un'emozione che si rileva non solo nel corso delle sedute, nel momento dell'effettivo lavoro di gruppo, momento e spazio in cui è maggiormente presente il senso condiviso del Noi, ma che si può cogliere allo stato nascente anche prima delle sedute, nella sala d'aspetto, in cui i pazienti si scambiano spesso opinioni e commenti sulle rispettive esperienze di vita o sul gruppo a cui stanno partecipando, in una sorta di "crescendo del ritrovarsi" o di "riscaldamento pre-gruppo"; e così all'uscita dalle sedute, nel restare ancora un poco insieme prima di sciogliersi definitivamente, prima di reimmergersi nel proprio quotidiano, quasi ad accompagnare e lenire le tensioni separative che caratterizzano il gelido momento del distacco.

Nel corso degli anni mi è apparsa sempre più fondata l'ipotesi che per comprendere ed utilizzare, ai fini dell'analisi e della cura, la singolare qualità di questa attivazione emozionale, sia necessario tenere presente in particolare tre sue componenti:

a) in primo luogo la tendenza dei pazienti ad idealizzare, consciamente od inconsciamente, soprattutto nei primi tempi, la partecipazione ad un gruppo analitico, ossia ad un "lavoro di gruppo", ad un lavoro affrontato insieme con la forza del gruppo; l'insieme gruppale viene infatti pregiudizialmente ritenuto o creduto, ora a torto, ora a ragione, capace di riuscire molto meglio dei singoli individui in ogni sforzo, ma in particolare nella ricerca e nella conquista di una tanto ambita, quanto ahimé illusoria, meta: la "guarigione miracolosa";

b) in secondo luogo l'entusiasmo legato al senso di essere contenuti, sorretti, accompagnati e protetti in un' "area di appartenenza" (Neri) e di ascolto reciproco; entusiasmo che rappresenta probabilmente l'espressione manifesta di una particolare "domanda", perlopiù latente ed inconscia invece, degli stessi pazienti: una domanda non solo di guarigione dal sintomo, ma di aiuto psicoterapeutico in senso più ampio;

c) in terzo luogo il fatto che nel gruppo terapeutico tutti i pazienti si sentono alternativamente (soprattutto all'inizio) o contemporaneamente (in seguito) così uguali e così diversi tra loro; nello stesso tempo sofferenti o ammalati di qualcosa di così simile, ma anche di così diversamente declinato in ognuno di loro, tanto da poter ragionevolmente sperare di potersi al più presto riconoscere, ed essere riconosciuti, come individui separati ed autonomi.

 

Ora, in generale per quasi tutti i pazienti, anche in rapporto alle comprensibili esigenze di emancipazione dalla loro situazione sintomatica, si pone il problema di gestire insieme sia un prepotente bisogno personale di sviluppo verso l'individuazione e l'autonomia, sia una parallela necessità di reimparare a relazionarsi con gli altri, ovvero a vivere i rapporti provando e ricambiando affetti profondi, senza fuggire o senza ritrovarsi coattivamente imprigionati in situazioni simbiotiche o adesive, in cui la relazione decade quasi esclusivamente ad un livello di tipo manipolatorio.

Sono soprattutto i pazienti più oppressi dai loro stessi sintomi a manifestare la necessità di ritrovare nell'ambito del gruppo una situazione emozionale calorosa, in cui sia possibile interagire e comunicarsi reciprocamente le aspettative ideali e le difficoltà reali incontrate, le proprie speranze e le proprie angosce. Mossi da questa necessità, i pazienti sembrano spesso voler realizzare, proprio nello spazio di aperto incontro e confronto del gruppo analitico, non solo il desiderio di partecipare ad una esperienza curativa e maturativa, ma anche e soprattutto la possibilità di dare corpo alla fantasia (perlopiù inconscia) di poter ricostituire, nell'ambito del campo mentale condiviso, un <gruppo di appartenenza affettivo>; un gruppo cioè capace di dare effettivamente un sostegno amorevole ai suoi membri, di contenerli ed accompagnarli nel vivere insieme la faticosa esperienza del percorso terapeutico.

Ma ben presto tutti i pazienti si rendono conto dell'esistenza nel gruppo di due aspetti paralleli: da una parte è così spesso evidente una piacevole e rassicurante similitudine nel contenuto delle varie rappresentazioni e comunicazioni individuali relative alle ansie ed ai conflitti, e questo anche se il veicolo linguistico o idiomatico di ognuno appare molto diverso; contemporaneamente però si percepiscono sempre meglio una serie di movimenti oscillatori tra opzioni di fiducia o affidamento e rinnovata sfiducia nel gruppo e negli altri, il che tradisce anche un certo nostalgico e/o perverso attaccamento resistenziale ai propri atteggiamenti difensivi e sintomatici. Da una parte quindi emergono, si incontrano e si associano molteplici rappresentazioni simboliche, le quali, anche se nate in ambiti sociali e culturali differenti, appaiono così spesso sovrapponibili, diverse ma dotate di un comune determinatore; e tutto questo favorisce il progressivo sviluppo nel gruppo di un piacevole senso di coesione ed un crescente senso di appartenenza (essere con) e di esistenza (essere Sé); contemporaneamente però si percepiscono emozioni luttuose, derive narcisistiche ed isolazionistiche, che possono far crescere invece il timore di una nuova frammentazione del gruppo e di se stessi.

Analizzando insieme al conduttore questi elementi dinamici, nel corso del lavoro gruppale i pazienti giungono ad avvertire sempre più chiaramente la compresenza all'interno di sé e del gruppo di contrapposte tendenze, integrative e disintegrative, e vivono insieme la tumultuosa oscillazione tra il fascino seduttivo di una "fusione con" gli altri e la terribile angoscia catastrofale della "confusione" delle lingue, di una esplosione babelica del gruppo, di una nuova disintegrazione psicosomatica. Col tempo si rende poi evidente quanto il desiderato senso di coesione possa essere legato e condizionato dal bisogno di ritrovare negli altri e nel gruppo la realizzazione e la soddisfazione di esigenze affettive primarie, nonché una difesa contro la solitudine e l'emarginazione, soprattutto per chi in fondo si è anche autoisolato; parallelamente la nostalgia del sintomo e le emozioni luttuose appaiono legate alla percezione dell'impossibilità di soddisfare appieno nel gruppo queste esigenze affettive, all'impossibilità quindi di dare realmente corpo ad un'illusione fusionale.

Attraversando ed elaborando, sempre più consapevolmente, la tempesta emozionale che deriva da questa situazione di continua oscillazione, il gruppo raggiunge gradualmente un livello di lavoro che permette ai pazienti di sostenere sempre meglio il ripresentarsi delle situazioni critiche, procedendo insieme nel percorso di integrazione che comporta una sempre migliore capacità di sostenere le frustrazioni.

Da tutto questo trarrei ora lo spunto per una prima considerazione. Mi sembra che, per quanto concerne specificamente la conduzione dei gruppi analitici, la marcata situazione di forte attivazione emozionale che stiamo indagando comporti in ogni caso la necessità di promuovere un lavoro analitico capace di condurre il gruppo ad elaborare parallelamente sia la presenza di una forte componente illusiva, dovuta soprattutto alle potenti aspettative iniziali o ai bisogni primari, sia un'altrettanto forte componente delusiva, dovuta alla riscoperta delle difficoltà negate, alla sofferenza che si accompagna al tentativo di cogliere e comunicare agli altri il significato di ciò che si sente emergere dentro di sé e nel gruppo, e, non ultimo, alla percezione sempre più chiara degli stessi limiti umani, presenti anche in questo particolare tipo di setting, e conseguentemente dei limiti spaziotemporali anche del lavoro analitico che è possibile fare in un gruppo.

Ma fare analisi significa anche fare esperienza dei limiti, in ogni tipo di setting. Ed infatti nel gruppo i pazienti si accorgono ben presto che una cosa è il desiderio di riunirsi in gruppo e una cosa è portare avanti insieme un lavoro di gruppo; e inoltre che una cosa sono il bisogno di appartenere ad un gruppo, o di fare massa unica con gli altri, per sentire di possedere un proprio gruppo di appartenenza, e una cosa è promuovere ed utilizzare insieme la creatività di tutti i membri, attivando un aperto spirito di collaborazione che lasci ognuno libero di mettere a disposizione degli altri il suo più personale ed originale contributo. E anche in questo consiste la possibilità di cura che i gruppi analitici offrono, o per dirla con Bion, di "apprendere dall'esperienza".

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Revista de Psicoanálisis y Cultura
Número 4 - Diciembre 1996
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